Il-futur tal-Ewropa jinsab f'idejn l-Ewropej - Metsola f'Parma  

 

Il-futur tal-Ewropa jinsab f'idejn l-Ewropej - Metsola f'Parma  

Parma  
 
 

Hi u tindirizza l-Kulleġġ Ewropew ta’ Parma, il-President tal-Parlament Ewropew Roberta Metsola qalet li l-futur tal-Ewropa jinsab f’idejn l-Ewropej. Hija qalet li l-Ewropa trid tkun lesta għall-futur.

       

Grazie e buonasera,
Cari studenti, Cara Francesca, ero così orgogliosa di ascoltarla, con donne forti come lei il futuro dell’Italia e dell’Europa è luminoso. Grazie Francesca.
Caro Presidente Azzali,
Sindaco Guerra,
Rettore Martelli,
Presidente De Pascale, Europarlamentari,
Gentili ospiti,
Care amiche e cari amici,
 
È con grande emozione che io prendo la parola nella splendida cornice del Ridotto del Teatro Regio di Parma, luogo che riflette tutta la vivacità culturale di una delle istituzioni teatrali più prestigiose d’Italia.
 
Voglio anche dare omaggio al mio predecessore, il scomparso David Sassoli e spero che sarebbe orgoglioso del nostro parlamento e del lavoro che noi stiamo facendo
 
Cari studenti del Collegio europeo di Parma, io ho frequentato il College of Europe a Bruges. Non voglio aprire un dibattito su quale università sia migliore, ma vi concedo una cosa: sicuramente qui in Italia e a Parma si mangia meglio.
 
Prima di iniziare la mia Lectio voglio dirvi una cosa: ogni volta che mi rivolgo a degli studenti, non posso fare a meno di ripensare ai miei anni universitari. Mi candidai alle mie prime elezioni europee mentre stavo ancora studiando, con grande preoccupazione dei miei genitori. Loro volevano per me qualcosa di stabile. Ma io sentivo una vocazione. Un dovere. Avevo tante idee. Tanta speranza. Desideravo contribuire. Ed ero motivata a cambiare le cose.
 
Ventuno anni dopo, sento ancora quella vocazione. Ogni giorno. E quel senso di responsabilità è diventato ancora più forte dopo quello che gli elettori ci hanno chiesto alle elezioni europee dello scorso giugno, quasi un anno fa.
 
Il messaggio non poteva essere più chiaro: molti si sono sentiti spinti troppo oltre, troppo in fretta. Dati per scontati. Inascoltati e non apprezzati.
 
È vero che l’Europa in cui credevano – quella che ha ispirato i vostri studi e anche i miei – era stata costruita per semplificare la vita delle persone. Ma lungo il cammino, l’Europa ha finito per dare l’impressione di valorizzare più il processo che lo scopo. Troppi si sentono lasciati indietro e faticano ad arrivare alla fine del mese con le risorse che hanno a disposizione. Troppe imprese affogano sotto la burocrazia e l’aumento dei costi. E troppi giovani non riescono a trovare un lavoro, o si chiedono se potranno mai permettersi una casa – so che sono anche le preoccupazioni di molti tra voi.
 
Spesso abbiamo dato risalto alla nostra visione morale, senza però riuscire a mostrare con sufficiente chiarezza come essa possa tradursi in soluzioni concrete per rendere la vita delle persone migliore e più giusta.
 
Eppure, i segnali c’erano. La Conferenza sul Futuro dell’Europa, due anni fa, aveva già indicato la necessità di riforme e cambiamenti profondi. Ma quelle indicazioni sono state accantonate, quasi dimenticate. Nel frattempo, le forze ai margini dello spettro politico hanno saputo cogliere il malessere e trasformarlo in consenso. Invece di affrontarle con idee e risposte, troppo spesso le abbiamo ignorate o sottovalutate.
 
Ora, non voglio essere fraintesa: io credo molto in questo progetto. Credo in ciò che abbiamo costruito e in ciò che possiamo ancora realizzare insieme. E vi assicuro che non troverete nessuno più europeista della Presidente del Parlamento europeo.
 
Ma essere europeisti non significa non potersi mettere in discussione. Al contrario: significa essere abbastanza onesti da riflettere, ascoltare di più e cambiare rotta quando serve. Perché io mi rifiuto di stare qui a dirvi che il rimanere inerti ci tirerà fuori da questa situazione. Non è così.
 
Mario Draghi ha parlato di "lenta agonia del declino". E c’è un motivo per cui sono venuta qui in Italia a parlare anche con voi. Il vostro è un Paese che ha sempre compreso la necessità di adattarsi al cambiamento. Non è un caso che il documento che ha dato origine al nostro progetto comune porti il nome della vostra capitale: i Trattati di Roma, firmati il 25 marzo 1957. Quel momento segnò la visione lungimirante di giganti come Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli.
 
E più tardi, di pionieri europei come Sofia Corradi – affettuosamente conosciuta come “mamma Erasmus”. Donne e uomini che osarono sfidare lo status quo. Immaginarono qualcosa che ancora non esisteva – e poi lo costruirono.
 
Nulla di ciò che hanno fatto era inevitabile. Era politica. Era coraggio.
 
E ha funzionato. L’Europa ha costruito un percorso straordinario: dal mercato unico alla moneta unica, dall’elezione diretta del Parlamento europeo all’allargamento progressivo che ha visto unirsi popoli e Paesi un tempo divisi da muri e cortine.
 
Le adesioni successive non sono state solo un’espansione geografica, ma una riaffermazione dei valori comuni: pace, democrazia, diritti, cooperazione. Per decenni ci siamo mossi con lo slancio di quella visione originaria, capaci di trasformare le promesse in realtà.
 
Ma l’Europa non può vivere di nostalgia. Non basta custodire il passato: dobbiamo rinnovare il nostro impegno, orientarlo al futuro e dotarci del coraggio necessario per affrontare le sfide che ci attendono.
 
Ora è il momento di dare quella spinta che serve per il cambiamento – il cambiamento urgente che i cittadini ci chiedono. Ricostruire la fiducia, rinnovare quel patto sacro tra istituzioni e cittadini, riportare l’Europa nelle mani degli europei. È così che vedo il mio ruolo da Presidente del Parlamento Europeo. E so che molti dei miei colleghi italiani qui presenti la pensano come me.
 
I cittadini non chiedono troppo dall’Europa.
 
Chiedono un’Europa che funzioni – che semplifichi concretamente la vita quotidiana. Un’Europa che assuma la leadership, che sappia guidare il cambiamento e aprire le strade – offrendo posti di lavoro di qualità, opportunità più ampie e la possibilità reale di costruire un futuro. Un’Europa che protegga – i nostri confini, i nostri valori, la nostra gente.
Soprattutto, chiedono serenità. La certezza che, in un mondo instabile, dal punto di vista geopolitico ed economico, l’Europa sappia alzarsi in piedi e restare salda.
 
La nostra risposta deve essere costruire un’Europa più consapevole, più forte, più sicura.
 
Un’Europa più consapevole è quella che riconosce come la libertà individuale e i sistemi di protezione sociale poggino sulla nostra capacità di restare competitivi.
 
Non possiamo permetterci l’una senza l’altra. Serve un’Europa in cui la burocrazia venga snellita in modo radicale, dove le imprese possano crescere, creare occupazione, dove l’innovazione sia valorizzata e le start-up abbiano lo slancio per affermarsi e prosperare.
 
Questo è il senso dell’agenda di semplificazione dell’Unione Europea. E non è quella che, consapevolmente o meno, penalizza i nostri agricoltori, le nostre aziende, i nostri cittadini, a vantaggio di chi è fuori dal nostro continente. Le nostre priorità non sono inconciliabili. Con il giusto equilibrio, possono rafforzarsi a vicenda.
 
È con questa logica che possiamo costruire un’Europa più forte. Un’Europa che sappia riconoscere come, pur essendo piccoli singolarmente, insieme costituiamo una forza reale. Questo significa completare i mercati unici dell’energia, delle telecomunicazioni e della difesa– e soprattutto realizzare l’Unione del risparmio e degli investimenti. Deve essere possibile trasformare un’idea in impresa, trovare capitali, imparare dai fallimenti e ripartire, ancora e ancora. Non possiamo più permetterci di aspettare.
 
Una che riconosca che, da soli, possiamo essere piccoli, ma insieme siamo una forza.
 
La trasformazione digitale e l’intelligenza artificiale sono già la prossima rivoluzione industriale. Questa mattina sono stata all’Assemblea nazionale di Confindustria e poche ore fa ero al Tecnopolo di Bologna.
 
Sapete, se qualcuno dovesse dubitare del talento, delle competenze, del potenziale dell’Europa, gli direi di venire qui, in Italia.
 
Ma se vogliamo davvero che l’Europa guidi – nell’Intelligenza Artificiale, nella farmaceutica, nello spazio, nell’innovazione climatica – dobbiamo fornire a ingegneri, ricercatori, imprenditori gli strumenti per farlo.
 
Rafforzare l’Europa dall’ interno è fondamentale – ma deve anche tradursi in sicurezza all’esterno. Con gli Stati Uniti che riaffermano la loro influenza, la Cina che consolida la sua posizione e Paesi emergenti come l’India che allargano il proprio raggio d’azione, l’Europa non può permettersi di restare schiacciata nel mezzo.
 
Il nostro approccio economico globale è sempre stato: apertura, equità, regole. Meglio che tutti guadagnino, piuttosto che tutti perdano – anche se qualcuno perde un po’ meno.
E nel rapporto con gli Stati Uniti, non ci fa bene trasformare un’alleanza in competizione. Le nostre aziende sono integrate come le nostre vite. Certo, discuteremo, avremo divergenze, ma dobbiamo continuare a costruire, trovare un accordo e restare alleati e amici.
 
Non dobbiamo essere ingenui. Abbiamo imparato a nostre spese che non basta un’unica alleanza – per quanto forte – per sentirsi sicuri. La resilienza dipende da alleanze molteplici e solide.
 
Per questo dobbiamo rafforzare i legami con partner come il Regno Unito, il Canada e i Paesi africani, con cui sviluppare investimenti e relazioni commerciali solide. Lo stesso vale per l’America Latina. Il tema delle migrazioni è importante, ma non può rappresentare l’unico ambito della nostra collaborazione.
 
Questo garantisce un’Europa più sicura. Perché senza sicurezza, non c’è nulla.
 
Pur troppo e per troppo tempo abbiamo fatto affidamento sugli altri per proteggerci. Ma l’era dei "dividendi di pace" è finita. La guerra brutale della Russia contro l’Ucraina ce lo ha ricordato nel modo peggiore. Ora tutti gli Stati membri sanno che l’Europa deve farsi carico della propria difesa. Anche il Parlamento europeo lo sa: per essere sicura, l’Europa deve crescere.

E Una Europa sicura è una che sa cosa è strategico. La pace non accade da sola: va costruita, protetta, difesa. Penso al mio incontro con il compianto Papa Francesco – uomo di principio, umiltà e convinzione. Ho ritrovato la stessa chiarezza in Papa Leone XIV. Quando ci siamo incontrati per la sua messa d’inaugurazione, una settimana fa dove ha invocato un mondo più unito e di pace.
 
L’Europa deve parlare – e agire – con coraggio. Ecco perché è fondamentale rafforzare il nostro sostegno all’Ucraina. Per una pace giusta e duratura e questo deve essere anche l’obiettivo quando guardiamo alla crisi nel Medio Oriente e alla tragica situazione in Gaza.
 
Un’Europa sicura non tollera l’ingiustizia. Smantella le reti criminali. Protegge le frontiere. Gestisce i flussi migratori con equità verso chi ha davvero bisogno, fermezza verso chi non ha diritto e severità verso chi sfrutta i più deboli. Non dobbiamo mai, in confronto a tutto questo, mai dimenticare che non stiamo parlando di numeri, ma stiamo parlando di vite umane, di donne, uomini e bambini che sognano una vita migliore.
 
Infine, per essere più consapevole, più forte, più sicura, l’Europa deve essere anche più veloce.
Quando abbiamo accolto il Presidente Mattarella al Parlamento europeo, la settimana scorso, ha detto: "Il Parlamento europeo è il baricentrico di raccordo tra istituzioni e cittadini”. Non prendiamo alla leggera questa responsabilità.
 
Negli ultimi tre anni, il Parlamento ha fatto grandi riforme per rispondere meglio alle esigenze dei cittadini. Non è stato facile, ma sappiamo bene: l’Europa non è nulla senza le sue persone.
 
Ora dobbiamo essere ancora più efficienti. Per questo, se vogliamo un’Unione Europea davvero democratica e reattiva, è il momento di rafforzare il diritto d’iniziativa legislativa del Parlamento.
 
Solo così costruiremo un’Europa più consapevole, più sicura e più forte. Solo così riporteremo l’Europa nelle mani dei cittadini europei.
 
“Non est ad astra mollis e terris via” – non esiste una strada facile dalla Terra alle stelle.
 
Tuttavia, la semplicità non è mai stata la misura delle nostre azioni. E certamente non è con un percorso privo di ostacoli che si è costruita l’Europa.
 
È proprio affrontando le sfide più dure che si cambia il mondo. Continuiamo a cambiarlo insieme.
 
Viva l’Italia e viva l’Europa.
 
Grazie.